Il superminimo è una voce accessoria della retribuzione. Si individua in un compenso da aggiungersi alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva. Può essere individuale o collettivo. Nel primo caso l’erogazione è stabilita da accordi individuali tra datore di lavoro e lavoratore in ragione di specifiche qualità del prestatore d’opera o per particolari situazioni di mercato. Nel secondo caso è l’accordo collettivo a prevederlo per lavoratori inquadrati in un determinato livello o specifico gruppo.
Il superminimo concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente. È fiscalmente imponibile nonché utile per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali oltre che per la determinazione della retribuzione ai fini del TFR.
È un elemento che può essere assorbito, venute meno le condizioni temporanee e specifiche che lo avevano generato. Oppure man mano che aumenta la paga base, fino a concorrenza dell’importo erogato in precedenza e fatto salvo lo scatto di anzianità. Il superminimo individuale, in quanto frutto di accordo tra le parti, può sempre essere modificato o eliminato da un successivo accordo. Quello di natura collettiva è soggetto alle modifiche di legge.
Può anche non essere assorbito, ovvero non risentire di aumenti contrattuali o altre modifiche (passaggi di livello). Se ricorresse il caso, la dimostrazione della non assorbibilità, alla stregua dei principi generali sull’onere della prova, è del lavoratore.
Nei casi in cui l’azienda subisca fusioni o cambi di proprietà, la legge non garantisce il diritto al mantenimento di superminimi precedentemente ottenuti. L’uso aziendale di concedere un superminimo ai dipendenti trova origine in un comportamento spontaneo di ciascun datore di lavoro.
Vi sono dei superminimi vietati, erogati per ottenere in cambio un impegno (ad es. quello di ridurre l’attività sindacale o remunerare ferie non godute). L’accordo è nullo e la violazione sanzionabile.